RUBRICA - Le parole per dirlo

L’importanza dell’elementare

Nella casa dei miei genitori campeggia da decenni un vecchio stemma in metallo laccato delle Scuole elementari con l’emblema della Repubblica Italiana. Non ricordo come ne siano venuti in possesso, fatto sta che la sua presenza è impressa nella mia mente come un monito, perché in effetti ci ritroviamo per tutta la vita a ritornare ciclicamente a quello stadio dell’esistenza, se è vero che c’è sempre qualcosa da imparare o da ripassare.
“Scuola elementare” era denominazione più bella di “Scuole primarie” proprio perché richiamava il rudimento: l’elementare, il basico, l’abc o abbiccì, ovvero l’essenziale per tenersi in piedi nella vita. Lettere, numeri, nozioni scientifiche e biologiche, il saper esprimere a voce o per iscritto un pensiero, una narrazione, una storia: le fondamenta sulle quali si potranno poi edificare le cose più complicate, le quali cose non è detto che staranno in piedi e non crolleranno, ma il piedistallo resterà e da lì si potrà ricominciare.

Senza l’abc, qualche problema invece c’è sempre.  È come iscriversi a filosofia senza aver studiato greco e latino o a fisica senza conoscere l’inglese: puoi farcela, certo, ma probabilmente farai più fatica. Ora, io – e non credo di essere sola in questa mia constatazione che sa di ovvio, ma vado lo stesso ad articolarla – ho idea di stare assistendo a un cambio di paradigma rispetto a ciò che si riteneva basilare apprendere bene da bambini e sul quale è stata fondata l’educazione scolastica di generazioni. Per esempio, ricordo le file su file di lettere per imparare la calligrafia. La bella scrittura, insomma. I nostri quaderni contavano pagine su pagine di lettere in corsivo, i temi venivano prima vergati in brutta copia su fogli volanti, poi riscritti in bella, con le “grechine” decorate con i pastelli a separarli. La mano, con la ripetizione forzata, veniva educata a imparare un gesto che doveva produrre un segno il più possibile perfetto.

Ora sembra che non sia più così importante. Forse perché ci sono le tastiere per scrivere bene? Tanto stampatello e poco corsivo. I bambini sembrano disamorati all’idea della scrittura. Pochissimi temi liberi. Pochissimi riassunti.

A quanto pare si scrive e si legge poco, molto, molto meno di un tempo. Però si fa tantissima grammatica: a che serve la grammatica se poi non la sai applicare e non sei in grado di articolare un discorso scritto con un minimo di senso e anche di bellezza formale? Non so dirlo, probabilmente perché di didattica non so molto. Non so dirlo, perché quello che serve agli adulti di domani io non ce l’ho chiaro in mente. Forse non ce l’ha chiaro nessuno: servirà di più, tra dieci anni, saper telecomandare un drone, impostare una smart tv o un cellulare oppure dar giù di vanga e martello, coltivare un orto, saper guidare un trattore vero invece che un aereo 3D?

Per formazione, carattere e forse destino, mi piace continuare a credere che l’elementare, in quanto umani, resti l’istinto di narrare, quello che ha indagato Jonathan Gottschall nel suo omonimo libro che parla di “come le storie ci hanno resi umani” e di come “una serie di circuiti cerebrali impongano una struttura narrativa nel caos delle nostre esistenze”.

È elementare, basico, primario.

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