La mascherine sono divenute dei beni di prima necessità al tempo del Covid e ce ne sono di tante tipologie. Quelle cosiddette “di comunità”, monouso o lavabili, anche auto-prodotte, sono consentite e non sottostanno a particolari certificazioni. Rappresentano una misura complementare di contenimento rispetto alle mascherine a uso medico, certificate, che si possono dividere in due grandi gruppi: chirurgiche e filtranti.
Le prime, monouso, generalmente costituite da tre strati sovrapposti di poliestere, proteggono soprattutto chi ci circonda (per il 20% anche chi le i
ndossa, dati Oms) e sono indicate per un uso quotidiano. In quanto dispositivi medici, devono avere la sigla Ce ma possono essere importate anche in deroga da paesi extra Ue.
Le mascherine filtranti, che aderiscono completamente al volto, sono progettate invece per difendere allo stesso modo chi le indossa e chi ci circonda dagli aerosol finissimi (droplet). Solitamente sono indicate per personale sanitario, persone anziane o soggetti deboli e a rischio. In base alle loro performance e capacità di filtraggio vengono classificate in FFP1 (filtrano più del 70% delle particelle), FFP2 (più del 92% ) e FFP3 (più del 98%) o ancora N95 e KN95, progettate rispettivamente in America e Cina con standard protettivi simili alle FFP2. In più esistono modelli di queste tipologie dotati di valvola di espirazione, che non aggiunge potere filtrante, ma dona maggiore comfort, indicati soprattutto per personale medico in costante movimento.
La sigla R quando compare sta per mascherine riutilizzabili, NR per non riutilizzabili. Le riutilizzabili hanno un ciclo di vita di 8-10 ore in ambiente contaminato, mentre in ambienti quotidiani si possono utilizzare un certo numero di volte, avendo cura di lavarle e disinfettarle con alcol a 70° nebulizzato.
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